… Come salgo in macchina mi viene in mente che non abbiamo scritto niente sul quaderno delle visite … e, così, eccomi qua, col cuor pieno e tanta voglia di raccontare…

Come altre volte in questo frangente, parlo per me perchè non mi sembra giusto interpretare e raccontare anche per chi ha condiviso la corsia … però spero che, in quello che scrivo, “l’altro”, in questo caso Sandra, ritrovi qualcosa di comune.

Oggi fa un freddo “becco”; uscire di casa è proprio un’impresa eroica. Si tratta, in effetti, di riuscire a sconfiggere il “mostro” Pantofol che tiene in ostaggio i piedi e parte della volontà … ma sia io che Sandra riusciamo, evidentemente, a “vincere”, e ci troviamo nell’atrio dell’ospedale di Imperia.

Un sorriso, un saluto, un respiro, e si sale (per le scale!) fino al terzo piano …

La porta del reparto è spalancata, un passeggino vuoto è posteggiato fuori; cerchiamo di capire se c’è il pienone o il vuoto totale … un po’, forse, nella speranza di tornare presto a casa per andare ad ammansire il mostro “Pantofol” che abbiamo appena lasciato. Mi pare onesto dirlo: nonostante le buone motivazioni che potevamo avere, un po’ di debolezza umana, oggi, ci stava.

Andiamo dritte nella sala infermieri e io, audace (caspita! Sono la veterana, mi do delle arie!), chiedo: “salve, com’è la situazione bambini?” Normalmente, si sa, questo è un bel momento: ci si fa un’idea, ci si confronta con il personale, ci si guarda in faccia e si inizia a far battere il cuore.
La gigantesca infermiera che domina la stanza, invece, alla mia domanda, ci guarda senza parlare e senza muovere un muscolo. Noi la guardiamo, lei ci guarda …. il mio neurone fa fatica a capire la situazione … cosa c’è che non va? Poi penso: non abbiamo il naso rosso e non ci siamo presentate, forse non ha capito perchè le ho fatto questa domanda! “Siamo di Sorrisi in Pillole” spiego convita di aver capito il problema. Lei allora si gira, apre il cassetto, prende la chiave dello studio del Dr. Amoretti e ce la consegna. Io riprovo a chiedere dei bambini … lei risponde: “si, ce ne sono” e ci liquida gelida.

Andiamo a rifugiarci nello stanzino … mamma mia!

Commentiamo brevemente, ci prepariamo nonostante l’incognita bambini, coloriamo con un po’ di rosso il viso, due parole, i vestiti, i camici, la scelta di qualche oggetto da mettere in tasca e partiamo.

Il corridoio è enorme; un bambino piange disperato da qualche parte: incominciamo bene! Passeggiamo avanti, indietro per “respirare” un po’, intanto buttiamo lo sguardo nelle stanze.

Ciancia è attirata dalla sala giochi; io, la veterana (!), dall’alto della mia esperienza le dico: “è una stanza difficile, magari ci andiamo dopo” …. e così mi infilo, senza pensare, in una camera con Ciancia dietro di me, “convinta” da tanta sicurezza.

Nel letto c’è una ragazzona, proprio grande, un’adulta quasi e, vicino a lei, in piedi, un ragazzo sui 18 anni circa o poco meno; lei dorme per cui usciamo dalla stanza con lui dietro che ci chiede se siamo VIP.

Prendo la parola (oggi mi sento insopportabile: decido tutto, parlo, parlo, parlo ….) e spiego in due parole come nascono i Sorrisi in Pillole; lui spiega che ha consciuto i VIP a Torino e a Genova “in comunità” e, fino a quel punto, parliamo con leggerezza … fino a che, di botto, lui dice che loro due sono lì perchè questa notte hanno perso il bambino.

Botta nello stomaco: quindi quella che è nel letto non è un’addolescente con una qualche appendicite o roba simile, ma una mamma giovanissima, con un compagno bambino, entrambi trapassati da questa esperienza tremenda. Lui si lascia andare e, pur cercando di sorridere, ci confida la sua rabbia per la circostanza e nei confronti di chi reputa “colpevole” di questo dramma.

Non è uno scherzo stare davanti a lui, accogliere questo dolore, pensare di dargli qualcosa, un po’ di tenerezza. Mi sento impotente: meno male che vicino a me c’è Ciancia. Mi sento meno sola e sento che, insieme, stiamo vivendo una cosa proprio grossa e importante.

Ripasso mentalmente, rapidamente, il “manuale” con le 7 regole di sopravvivenza per clown disperati, e mi tornano in mente parole come: “accogliere il dolore”, “accettare la rabbia dell’altro e non giudicarla”, “evitare di fare i cretini con giochi e battute forzate”… Si, ok, ma allora cosa resta? Cosa possiamo fare lì, davanti a lui? Ci guardiamo: è proprio difficile ..!

Forse sono ingenua o presuntuosa, ma non me la sento di andar via senza provare a ricordargli che la vita, nonostante tutto, è grandiosa e che la felicità è un destino che prima o poi diventa vero per tutti.

Guardo Ciancia, e dentro di me decido di fare un salto nel buio: lo faccio perchè sento che lei è vicina a me, che in un certo senso mi tiene per mano, ed è importante! Inizio a blaterare qualcosa: ho paura di dire delle stronzate. Non posso scappare dall’impotenza ma voglio donare a quel ragazzo una piccola cosa che, pur non risolvendogli il dolore, gli apra una breccia nella rabbia.

Non gli do delle istruzioni per l’uso ma metto nelle sue mani un dolore che, anche se ora è cicatrizzato, me lo ricordo bene, un dolore che parecchi anni fa mi ha portato a sperare di morire, ma che poi, invece, mi ha scaraventato inaspettatamente su una spiaggia dove ho ripreso a vivere…

Forse non dovevo, ma dal cuore, mi è venuto di dirgli che lo stimavo perchè era lì vicino alla sua donna bambina, che il suo amore è una cosa bella e, che, lo creda o no, l’esserino che hanno perso ha attraversato comunque la loro vita ed è importante, è una scintilla di bene che si è accesa tra loro e non può essere cancellata dalla rabbia …

Vi giuro che tutto mi è salito dal cuore, o dalla pancia che dir si voglia, con un impeto che non mi ha dato la possibilità, più di tanto, di capire, con la testa, se stavo facendo un errore.

Chi mi conosce e sa quanto sono allergica ai discorsi, può immaginare come mi sono sentita a parlare come un fiume in piena! Spero che Sandra non si sia sentita soffocata. Per me –lo ribadisco– la sua presenza, il suo intervenire delicato e preciso, il suo respiro vicino(come direbbe qualcuno 🙂 …), è stato importante e mi ha dato tanta forza!…….Non mi sto sbagliando a scrivere perchè mentre stiamo per uscire

Sandra mette nelle mani del ragazzo in ascolto un cuoricino di stoffa e in un secondo ho sperato che tutti e tre fossimo lì dentro, nel cuore, nel cuore di quel piccolo uomo. Un gesto silenzioso che valeva tutte le mie parole confuse! Mi ha emozionato tantissimo! Proprio sabato abbiamo lavorato sullo STARE e non sull’ESSERE. Che combinazione!

Dopo questo incontro tentiamo l’avventura in sala giochi dove ci sono due bimbi: uno (in braccio al papà) arrabbiato e mogio perchè aveva fatto un prelievo, l’altro ipercinetico intento a smontare il reparto. Per noi, … per me, è un momento di respiro. Ciancia si lancia con le bolle di sapone e il bimbo arrabbiato inizia a cambiare espressione; l’altro vuole a tutti costi il barattolo e fa il prepotente, poi, tutti, ci lasciamo incantare dalle bolle che riempiono quell’angolo: è un momento semplice, fatto di cose semplici: ne avevamo bisogno! Che bello! Usciamo serene.

Altra stanza, altro regalo … meglio che sulla giostra 🙂

Da fuori sentiamo la TV accesa … cavolo! Apriamo la porta: come faremo a “sconfiggere” i cartoni animati? Al nostro ingresso la mamma si alza dalla sedia e si mette in piedi; il bimbo, Matteo, con tanto di flebo, si mette seduto. Sembrano sull’attenti. Istintivamente anche noi due ci mettiamo sull’attenti, facciamo il saluto militare e, immediatamente, senza averlo programmarlo, previsto o immaginato, ci caliamo nella parte dei commilitoni davanti al capitano in attesa di ordini … e succede di tutto. Lui con lo sguardo serissimo, Ciancia con la tremarella alle gambe, poi ancora le bolle ma in un altro gioco, completamente diverso dal precedente, io in terra a soffiare per non farle atterrare, lui, il nostro capitano, sempre serio ma, piano piano illuminato dal sorriso e, poi, proprio dal riso …. Che gioia! La mamma al telefono fa la telecronaca di quello che succede .. e poi, alla fine, ci svela pure che è una parente di Marmitta … Oddio! 🙂 Che bellissima stanza! Che bello giocare! Che bello capitan Matteo, che bello lavorare così, con tanta paura ma anche con tanta energia e la sicurezza – l’unica vera e importante nel disequilibrio totale – che accanto c’è una persona che condivide con semplicità e disponibilità l’emozione che ci sorprende, o che ci assale, o che ci accarezza, …

Ultima stanza … un bimbo ci guarda, …che begli occhioni … Nemmeno il tempo di presentarci e chiede: “Mi date un righello?” … Un righello? E dove ce lo prendiamo un righello? In tasca non ce l’abbiamo, in giro non si vede .. perchè vuole un righello?!

Ma il gioco presto nasce tra goniometri, compassi, squadre e altro ancora che ci troviamo ad interpretare per cercare di rispondere al suo desiderio …

Non mi dilungo: mi sa che ho già scritto troppo … se volete sapere come è finita ve lo racconteremo dal vivo magari a Dolcedo …

Fatto sta che quando mi sono ritrovata in macchina c’erano Sandra, capitan Matteo, Kevin, Joseph, il papà e la mamma bambini, l’infermiera … e una terribile voglia di fermarmi ad abbracciare qualcuno, salutare la gente, condividere quello che avevo nel cuore … Beata la posta elettronica così tutti quanti siete stati costretti a farvi frullare la testa dalle mie parole …

Grazie se siete arrivati fin qua … Grazie per quello che siete, sempre di più!

Un abbraccio a tutti, un grazie a Sandra e un a presto!

Pimpi